#girlmath

“Se compro un vestito in negozio e poi torno indietro per cambiarlo con un secondo, questo è gratis. Se uso i soldi contanti per un acquisto è come se l’avessi fatto gratis, perché il mio account bancario non è cambiato di un centesimo. Se compro un biglietto per un concerto nel futuro, quando arriva quel momento, il concerto è gratis.”

Constatazioni ironiche di come vengono percepite alcune azioni di acquisto. E indovinate da parte di chi? Delle donne.
Il trend dall’hashtag “Girl Math” ha raggiunto su Tik Tok 36 milioni di visualizzazioni i mesi scorsi e racconta di come giustificare acquisti inutili, soprattutto quelli online. Molti di questi finalizzati da impulsi “al primo click”, altri volti ad accumulare prodotti nel carrello fino alla soglia minima per ottenere la spedizione gratuita.

Il termine è nato durante una trasmissione radiofonica neozelandese, dalla riflessione dell’economista Brad Olsen che ammortizzava il valore economico di un vestito sulla base del suo utilizzo nel tempo: ogni dollaro che costa coincide con i giorni in cui lo si indossa, fino a quando non diventi gratuito.

Fenomeno virale soprattutto all’estero, il #girlmath ha assunto una connotazione ambigua; può infatti essere percepito come ennesimo atteggiamento maschilista che vede la donna poco pratica nel fare i conti e più incline a sperperare i soldi, oppure – da un insolito punto di vista – riguarda l’emancipazione economica: se è la donna a spendere i soldi è perché prima di tutto li guadagna.

I video sono effettivamente comici e hanno spesso protagoniste femminili che ironizzano su amiche o loro stesse, per supportare la causa del Girl Math. Ma quanto di vero c’è dietro questo trend? Quante volte ci è capitato di entrare in quelle catene di negozi “tutto a 1 €” con l’idea di risparmiare, per uscire con uno scontrino folle e oggetti di plastica colorata?

Qui non c’entra l’uomo o la donna, ma il consumismo e quanto sia pericoloso cadere nella tentazione di attribuire atteggiamenti di consumo a pratiche di genere.

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