Ti mando un vocale

Quanti messaggi vocali ricevete al giorno? E quanti ne mandate? Jo Bryant è un’etiquette & wedding consultant che è stata contattata da Meta nel 2023 per stilare un galateo sui messaggi vocali di whatsapp a un anno dal loro ingresso. (elle.com)

Molti di noi proprio non li sopportano, tanto da scrivere sui propri stati “no audio, grazie”. Altri e altre invece ne mandano di lunghissimi. Non riporteremo qui la lista delle buone maniere: siamo silenziosamente consapevoli che nessuna nota vocale debba superare il minuto.

Questa affermazione, sottoscritta anche dalla Bryant, ci porta a una domanda: quanto siamo disposti ad ascoltare? E soprattutto: in che modo ascoltiamo questo tipo di messaggi, se abbiamo anche la possibilità di velocizzarne la riproduzione? Avevamo già parlato tempo fa di questa opzione, potete leggere l’articolo qui. Resta che la troviamo agghiacciante.

Stiamo correndo in un’epoca dalla iperproduzione testuale e visiva, dove le persone hanno la possibilità di condividere la propria opinione in molti contesti e su ogni argomento, anche quello di cui non ne hanno la piena conoscenza; oltre al bisogno quotidiano e ormai compulsivo di comunicare emozioni e informazioni tramite chat. Ma chi ascolta davvero tutta questa sovrapproduzione? Chi presta la giusta attenzione uditiva? Sempre noi.

Secondo Otto Scharmer, docente tedesco per il MIT e padre della U Theory, esistono 4 livelli di ascolto: abituale, scientifico, empatico e generativo. Solo gli ultimi due sono davvero costruttivi e ci mettono non solo in relazione con l’altra persona, ma ci consentono di andare oltre, dando vita a una progettualità della conversazione, un’evoluzione dove “1+1 è uguale a 3”. Questo nuovo assioma è emerso dalla digital experience company di Torino, Synesthesia, che ci ha permesso di immaginare quanto sia importante ascoltare bene per evolvere: è la somma di due parti a dare vita a una terza parte, nuova autentica, altra.

Ma non tutto ciò che diciamo ha il peso specifico di un’evoluzione in grembo, quindi non possiamo ascoltare bene tutto, tutto.

“Come è possibile proporre un discorso sull’ascolto, che possa rendere conto della diversità delle esperienze di ascolto, così da promuovere allo stesso tempo le diverse pratiche ad esse connesse?”

Massimiliano Viel nel libro “Ascoltare. Tra musica, percezione e cognizione”, edito da ShaKe, si fa una domanda simile alla nostra. Affronta la narrazione dell’ascolto odierno, cercando di approfondire un tema che è sempre stato legato a pratiche musicali o ecclesiastiche. E invece riguarda ogni momento della nostra sproloquiante comunicazione.

Partecipa alla discussione su LinkedIn
Torna su

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *