S75, Petra Stavast. Bologna

Quando mi guardi così.

Petra Stavast, Erika | S75 © Spazio Labo’

La sigla S75 sta per “Siemens S75”, un cellulare uscito nel 2005 e primo telefono dell’artista Petra Stavast dotato di una fotocamera integrata, capace di scattare fotografie da 1280 x 960 pixel. Il progetto omonimo in mostra a Bologna raccoglie oltre 200 ritratti realizzati tra il 2006 e il 2022, con lo stesso telefono.

Le fotografie esposte non hanno la presunzione di risultare impeccabili come la tecnologia di oggi garantisce: molti smartphone hanno dalle due alle quattro telecamere e ragionano ormai solo in megapixel, lasciando ai pixel ricordi di millennials malinconici.

La possibilità di catturare più informazioni visive possibili non è stata certo la priorità di Petra, che nel suo percorso artistico utilizza video e foto per dare voce a una personale lettura di evoluzioni sociali da condividere.

Nessun parente e qualche raro amico: i ritratti in mostra sono di persone che hanno attraversato le giornate della vita dell’artista, senza far parte della sua intimità. Lo sfondo uguale per tutti e che accomuna ogni scatto rivela la professionalità adottata nella posa: ogni foto è stata realizzata in studio.

Petra Stavast, Theo | S75 © Spazio Labo’

Non importa la bassa qualità dell’immagine, di cui oggi molti filtri imitano la risoluzione. Importa la visione anacronistica e contraddittoria del progetto fotografico: nel corso della storia i ritratti, sia dipinti che fotografati, erano una testimonianza del livello di nobiltà della persona ripresa. Raccontavano usi e costumi dell’epoca, ci parlavano non tanto del soggetto fotografato, ma di ciò che lo decorava, lo circondava.

Cosa ci racconta qui Petra?

Pensiamo agli autoritratti di Francesca Woodman o ai travestimenti di Cindy Sherman: in entrambi i casi le artiste coincidono con il soggetto fotografato, in posa per raccontare la storia privata di un’anima o le potenzialità irriverenti del mezzo fotografico usato per andare oltre, facendo critica sociale, sessuale, politica.

Pensiamo ora ai selfie: autoritratti di momenti irrilevanti o catartici di persone comuni e non solo, dove la necessità di mostrarsi e di fermare l’attimo è la rivoluzione lenta ma inesorabile di un nuovo modo di raccontare: il soggetto, l’individuo, prima del resto.

Petra Stavast, Jan Pieter | S75 © Spazio Labo’

Apriamo poi un nuovo ragionamento, che si muove in parallelo: i cellulari hanno uno spazio di memoria limitato, rispetto alle infinite possibilità di riproduzione delle immagini che custodiscono; è possibile infatti realizzare infinite copie di un singolo file digitale. Rimanere nella memoria collettiva non è forse così importante come all’epoca, soprattutto se si ha sempre la possibilità di restare.

I volti di S75 restano in posa, su di uno sfondo neutro e scuro dove sembra più importante l’immanenza del mezzo obsoleto rispetto alla permanenza della loro immagine.

Pose mai frontali, laterali per lo più; profili di uomini e donne di età diverse dove traspare un’emozione indifferente, come se fossimo – ed effettivamente siamo – una moltitudine di persone diverse, accomunate dal tempo che passa e che consuma la propria evoluzione sulla nostra riproducibilità tecnica.

 

Fino al 21 Giugno 2024
S75, mostra di Petra Stavast
A cura di Laura De Marco
Bologna, Spazio Labo’

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