I terribili fatti di cronaca che hanno coinvolto ragazzi e minori italiani degli ultimi mesi, sono stati sulla bocca di tutti, oltre che in giro per il web.
Immaginare dei tredicenni violare il corpo di un proprio coetaneo o coetanea è quasi impossibile da figurare; come lasciare che un bambino guidi un suv in autostrada, inimmaginabile. La realtà è che alcune di queste immagini, sgranate e a bassissima risoluzione, si trovano online come testimonianza di una cruda realtà: i ragazzini commettono reati perché li fruiscono, li sfidano e si sfidano.
“Tredici anni di Don Matteo non hanno fatto aumentare i preti in Italia (…)”, ha ironizzato con cognizione di causa Gennaro Pagano – ex cappellano di Nisida e coordinatore del Patto educativo di Napoli. Ma la sua ironia è solo un antefatto per raccontare come “l’esposizione alla violenza abbia ricadute imitative, che contribuiscono a dare un fascino a fenomeni di questo tipo”.
La violenza minorile esiste da tempo, oggi rafforzata dalla libertà di vederla ovunque giustificata: sugli smartphone, nelle serie televisive e infine per le strade. Quello che ci ha colpiti e su cui lo stesso Pagano insiste, è di prestare attenzione alla parola che affianca attitudini di questo tipo: la violenza minorile non è un’emergenza, ma è un’urgenza.
Quello che scongiuriamo è l’imposizione di attività restrittive come soluzione. Non è con la punizione che si limitano i danni, serve la prevenzione che riguarda l’educazione e l’assistenza concreta. E forse legare il nome di un decreto legge al luogo in cui è avvenuto un fatto di cronaca, non fa altro che spettacolarizzare maggiormente l’accaduto. A che pro?
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