“I cani hanno un solo difetto, si fidano degli esseri umani”, dice Doug in una delle prime scene del film, interpretato da Caleb Landry Jones. I “suoi bambini” infatti sono animali inseparabili e fedeli, che per lui farebbero – e fanno – qualsiasi cosa, anche la più orrenda.
Ispirato a una storia vera, in cui un padre rinchiude il figlio nella gabbia dei cani, Dogman è un thriller che sta dalla parte del cattivo, un cattivo su una sedia a rotelle e un passato che non si augura a nessun bambino.
La trama è lineare, nessun picco emotivo né di suspance: l’infanzia fortemente traumatica di Douglas giustifica la sua storia, che il pubblico ripercorre attraverso flashback piuttosto lunghi: cresciuto nella gabbia con almeno una ventina di cani, viene abbandonato dalla madre e umiliato dal padre e dal fratello. Il resto è un crescendo di delusioni, che trovano nell’amore per i cani una rivincita malata.
Senza nessun addestramento apparente, gli sguardi d’intesa tra Doug e i “suoi bambini” sono rapidi e definitivi: negli anni della loro convivenza questa complicità diventerà fondamentale per furti e omicidi. Ma davvero simpatizziamo con chi addestra cani per uccidere?
Le intenzioni di Doug sono sempre in nome di Dio e di una giustizia divina: lui non è davvero cattivo, un po’ come era stato per Joker, interpretato da Jaquin Phoenix nel 2019. Anche qui c’è in ballo una maschera e la necessità di estraniarsi da sé stessi per eccellere altrove e con altre vesti, basta che non siano le proprie. E dopo cosa resta? Dietro la maschera chi muove davvero la trama?
La sceneggiatura è semplice, non indaga a fondo nessuno dei temi che tocca e il carattere psicologico degli altri personaggi non viene approfondito abbastanza: non è spontaneo simpatizzare con la psichiatra che segue Doug, perché si sa davvero molto poco di lei, a parte che è triste come lui. Forse anche questo restare in superficie fa parte del piano narrativo di raccontare una società malata, corrotta e bigotta?
Nel dubbio concentratevi sulle labbra di Caleb Landry Jones e i suoi assoli queer, le questioni di genere in questo film sono solo un pretesto intelligente per parlare delle nostre maschere.
Voto da zero a dieci, cinque.