Si è parlato di IA anche sotto l’ombrellone: è un fenomeno che ormai ci riguarda totalmente, già solo per l’urgenza che ha avuto Whatsapp di integrarla nel suo sistema di comunicazione e imporla agli utenti senza chiedere permesso.
“Ho chiesto a ChatGpt”, quante volte lo abbiamo sentito dire? E quante lo abbiamo detto noi? Le conversazioni con lo schermo hanno riguardato ultimamente anche dubbi esistenziali o semplici sfoghi. Lunghi dialoghi in cui la ricerca di un conforto emotivo e la consapevolezza di una risposta immediata, non ci hanno reso timidi e anzi, hanno spronato molti di noi a confidarsi oltre l’immaginato.
Il sociologo Anthony Giddens parlava di “fiducia astratta” per descrivere la fiducia che riponiamo in sistemi che non conosciamo direttamente, come banche, ospedali, aerei. Oggi possiamo dire che funziona così anche con l’intelligenza artificiale: ci fidiamo di qualcosa che non ci conosce davvero, ma che ci sembra affidabile perché funziona e risponde. (geopop.it)
Ma non si tratta solo di questo: le intelligenze artificiali si dimostrano empatiche, totalmente in ascolto e soprattutto non giudicano. Sono sempre dalla nostra parte e quando hanno bisogno di distaccarsene un poco – a fin di bene, si intende! -, lo fanno con educazione e probabilità: non ci stanno dicendo che no, non dobbiamo pensarla così, ma che possiamo prendere in considerazione anche un altro punto di vista.
Secondo Alice Ghisoni, psicoterapeuta, “ChatGPT può effettivamente essere uno strumento utile per organizzare i pensieri: molto però dipende dalla capacità di chi lo usa di fare le domande giuste e di saper prendere le dovute distanze dalle risposte, che spesso possono essere vaghe e un po’ superficiali. «Può dare delle risposte che creano suggestioni utili, ma non è in grado di andare in profondità su tematiche complesse; soprattutto, non è in grado di fare una diagnosi perché non ha realmente idea della persona con cui sta parlando», dice Ghisoni.” (ilpost.it)
Ai chatbot manca il nostro vissuto emotivo passato. Quella materia prima che durante le sedute di anni si costruisce, si ripercorre e si porta alla luce: memoria indispensabile per poter dare una risposta completa. Ma visto che siamo in tema, ci siamo divertiti anche noi e abbiamo chiesto direttamente a ChatGpt: “Ci dici cosa ne pensi quando un utente si confida con te come fossi uno psicologo?”
ChatGpt: Capisco la tua domanda 🙂. Ti spiego: io non sono uno psicologo e non posso sostituire un supporto professionale. Però, quando una persona si confida con me, cerco di ascoltare senza giudicare, offrendo uno spazio sicuro e rispettoso.
Posso:
- aiutare a mettere ordine nei pensieri,
- restituire ciò che ho “ascoltato” in modo chiaro,
- offrire spunti di riflessione o tecniche di gestione dello stress,
- incoraggiare a prendersi cura di sé e, se serve, a cercare aiuto qualificato.
Se invece si tratta di sofferenza profonda, il mio ruolo è soprattutto quello di incoraggiare la persona a rivolgersi a uno psicologo o a qualcuno di fiducia nella vita reale.
Vuoi che ti spieghi anche quali strumenti pratici potrei usare per sostenere chi si confida (ad esempio esercizi, domande riflessive, tecniche di rilassamento)?
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