“Cosa vede chi non vede? Cosa vedono i ciechi e gli ipovedenti? Tantissime cose, perché la cecità, a differenza di quanto comunemente si creda, non impedisce di guardare – osservare, scrutare, analizzare – la realtà: innanzitutto quella del proprio corpo e della propria mente, ma anche quella degli altri”, scrive Luigi Manconi nella prefazione del libro “Vedremo”, uscito un mese fa per le edizioni Pendragon.
Quattro giovani autori ipovedenti e non vedenti in quattro racconti diversi condividono la propria giornata: Eva Bani, Andrea Barra, Paolo Carrieri e Maria Lucia Parisi non hanno filtri, descrivono le proprie esperienze fisiche con la libertà di chi vive in modo diverso il proprio corpo, in mancanza del senso della vista.
Lo spazio è un contesto necessario, dove tutto ha un confine noto, di cui si ha avuto esperienza e di cui non si può fare a meno. “La vista non è un video, ma la percezione di un insieme di elementi che nel buio trasmette il senso di una vita”. Si tratta di parole profonde e di un argomento delicato quello che troviamo in queste pagine.
Ma abbiamo deciso di raccontarlo perché ci ha fatto riflettere sul modo di vivere il lavoro: molti di noi sono al computer dalla mattina alla sera, con gli occhi fissi su uno schermo. Senza vedere cosa scriviamo non potremmo fare nulla. In questo contesto effettivamente non c’è percezione dello spazio intorno a noi: potremmo lavorare ovunque senza renderci conto di cosa ci circonda. Anche noi quindi, in modo totalmente opposto, siamo estranei a qualcosa, focalizzando tutte le energie su una sola parte sensoriale a discapito di un’altra. Condividiamo dunque la considerazione senza discriminazioni: chi è normalmente dotato di tutti i suoi sensi, spesso non li sfrutta al pieno delle sue possibilità. Non credete?
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