Le streghe sono le nostre preferite: simbolo di verità graffiate che fuorviano la retta via, hanno sempre dimostrato come la passione e il vigore possono, sopra ogni cosa.
Dopo le tappe di Monza e Bologna “Stregherie” arriva a Padova, con un nuovo allestimento e opere inedite, oltre a eventi collaterali che ruotano intorno al tema portante: riti e misteri dietro un’antica strada del sapere.
In questo viaggio esoterico, ogni sala sembra confondere i confini tra realtà e incanto, rivelandosi ai fruitori come una soglia da oltrepassare. Il percorso si snoda in nove sezioni narrative, pensate come portali iniziatici: un rito di passaggio che invita il visitatore a perdersi e ritrovarsi tra mito, corpo, sapere, persecuzione e rinascita.
È un viaggio che non si limita a raccontare la figura della strega, ma la interroga come archetipo vivo, come presenza che attraversa i secoli e ancora ci abita.

Lumb Stocks, Streghe e stregoni danzanti – seconda metà XIX sec., collezione Invernizzi
Si inizia dalle origini oracolari, quando la parola era potere e il femminile custodiva il ritmo della terra. Le prime sale sono un’immersione nei culti antichi, nelle genealogie del mistero, nei simboli del ventre e della luna. Qui la strega non è ancora condannata: è colei che sa, che ascolta, che pronuncia.
Poi, improvvisamente, il corpo. Carne e conoscenza si confondono e lo spazio diventa laboratorio sensoriale: il corpo della strega come sapere incarnato, campo di desiderio e di insubordinazione. Un corpo che non chiede di essere spiegato, ma vissuto e che si oppone alla norma con la forza silenziosa di chi conosce il proprio battito.
La mostra prosegue tra oblio e mistero: un paesaggio fatto di erbe essiccate, vasi, manoscritti, formule dimenticate. Qui i saperi popolari si ricompongono come per vendicarsi, come fossero stati negati: la mostra come presa di posizione, capace di restituire dignità a ciò che è stato cancellato, riportando alla luce la memoria delle mani e del respiro.
La sala del marchio invece è un nuovo capitolo di questo viaggio. Arriva potente e si fa sentire: il racconto diventa oscuro, dove la strega improvvisamente spaventa. Dalle miniature medievali ai roghi inquisitori, tutto parla di controllo, di propaganda, di corpi marchiati e bollati dalla maldicenza. La costruzione dell’icona demoniaca è una ferita viva e ancora oggi simbolo di inquietudine.

Giuseppe Bernardino Bison, Magia Nera, XVIII – XIX secolo, Galleria Antichità La Pieve
Infine, una sala è dedicata a Marietta Robusti, la Tintoretta, artista e leggenda. La sua storia è una fiaba sospesa tra devozione e superstizione, un racconto di potere paterno e di libertà femminile murata dietro un altorilievo. Venezia, ancora oggi, ne custodisce la traccia.
Attraversando l’Ottocento, la strega poi riemerge come visione romantica, musa inquieta e simbolo di un altrove possibile. Si libera dal terrore e torna a essere evocazione, archetipo poetico, eco del desiderio di un altro ordine del mondo.
Il percorso si chiude nel presente, dove la strega parla il linguaggio dell’arte contemporanea: diventa gesto politico, corpo collettivo, rinascita culturale. Non più figura marginale, ma emblema di autonomia e trasformazione.
Alla fine del viaggio, ne usciamo diversi, proprio come dopo un rito. Perché la strega non è un personaggio: è un principio vitale. È la possibilità di dire no. Di ricordare. Di riscrivere il mondo dal margine.
Fino al primo Febbraio
Cattedrale Ex Macello
Via Alvise Cornaro 1, Padova
