Vi ricordate quando a metà Luglio un giovane clochard diede sbadatamente fuoco a La Venere degli Stracci? Era stata installata – in dimensioni enormi – nella Piazza del Municipio di Napoli, pochi giorni prima dell’incendio.
Il caso ha fatto straparlare e se prima qualcuno poteva non conoscerla, ora tutti sanno chi è.
Il primo esemplare nasce nel 1967 da Michelangelo Pistoletto, nel nome di una piena Arte Povera in cui raccontare come la bellezza del classicismo possa essere presto affiancata dall’evidenza della vita, con tutte le sue ingiustizie, fragilità, scorie.
Copie di ogni tipo negli anni hanno invaso diverse circostanze artistiche, con dubbie capacità evocative. Ma perché stiamo parlando di questo rogo? Non è già stato detto abbastanza?
Il fuoco – nella sua distruzione – ha salvato l’impalcatura di ferro su cui poggiava la quantità di vestiti necessaria a simulare il mucchio. Questo gesto ha in qualche modo riscattato il significato con cui l’opera nasceva, certo qui ora Pistoletto non c’entra più.
Avete presente quando si dice che l’opera d’arte ha una vita propria, una volta che l’artista la mette a disposizione dei suoi fruitori? Ecco, finalmente un’installazione di arte pubblica, che si è servita di una gigantografia dell’arte povera, ha portato a termine il suo compito: confrontarsi con i cittadini in modo evidente, svelando simbolicamente quello su cui ultimamente vacilliamo.
Se sotto il vestito non c’è niente, potremmo tutti riflettere cosa muove veramente le nostre giornate. Di che materia è fatto il nostro futuro? Il nostro tempo libero e le nostre azioni quotidiane? Spunto per una riflessione estiva da passare sotto l’ombrellone, ma non per questo meno importante.
Partecipa alla discussione su LinkedIn