“Prendere sul serio la cultura pop non significa dedicarle sempre analisi strutturaliste fino allo spasimo (…), ma dosare gli sforzi in proporzione a quello che chiede il prodotto di cui si sta parlando.”
Riportiamo un estratto di Claudia Durastanti per la recensione del nuovo album di Caroline Polachek, cantautrice statunitense. Non ci soffermeremo nell’analisi della sua musica, ma sulle parole utilizzate nell’articolo e sul concetto che esprimono. Effettivamente in alcuni contesti “alti”, sembra che sia necessario ghettizzare la musica pop, o declassandola o ammirandola “fino allo spasimo”.
La musica pop nasce in Inghilterra e negli Usa a metà degli anni ‘50 e indica un genere di musica concepita e prodotta per il consumo popolare, urbano e di massa. Ha origini dal retaggio della civiltà agricola e pastorale e da essa eredita alcuni modi di fruizione, ma non quelli di produzione. La creatività della musica pop oggi viene influenzata dalle nuove forme di comunicazione e non più da spinte “autogene” (Treccani)
Parlare di musica pop in modo sofisticato è quasi un ossimoro: è come se non si volesse capire fino in fondo di che lingua siamo fatti. La sua comprensione in un contesto di comunicazione quotidiana è invece molto stimolante e soprattutto negli ultimi anni ci permette di capire, almeno in Italia, come comunicano i ragazzi e le ragazze.
Perché “t’immagini se fossimo al di là dei nostri limiti/Se stessimo di fianco alle abitudini/E avessimo più cura di quei lividi?/Saremmo certo più distanti, ma più simili/E avremmo dentro noi perenni brividi” (Ultimo, Alba, 2023)