La cosa interessante degli anniversari è che tornano sempre; possono annoiare, possono effettivamente ricordare, possono far piacere. Di fatto impongono il ricordo di un accadimento, generalmente di nascita o di morte, pensateci.
Bologna di Morandi ne ha due, uno vivo e uno morto. Il primo è Gianni, il secondo è Giorgio e quest’anno sono passati sessant’anni da quando non c’è più. Sessant’anni sono tanti, in qualsiasi epoca storica si viva, ed ecco che arriva l’anniversario: permette di guardare la persona ricordata in un modo diverso, rinnovandola.
Per Giorgio Morandi, pittore nato e vissuto nelle due guerre solo e sempre a Bologna, la città ha attivato un percorso di fascinazione nelle vie del centro, tra spazi istituzionali e non, invitando diversi artisti a interpretare il suo percorso.
Dopo la retrospettiva di Palazzo Reale a Milano, Bologna cura cinque progetti speciali in occasione di Arte Fiera per esplorare il lavoro del pittore attraverso differenti linguaggi: quello fotografico con i lavori di Mary Ellen Bartley al Museo Morandi e gli scatti di Joel Meyerowitz alle Collezioni Comunali d’Arte; quello del video con il lavoro di Tacita Dean; quello della performance, affidato a Virgilio Sieni per il Teatro Comunale di Bologna, e infine quello del suono con una installazione audio di Mark Vernon, per la Casa Museo Giorgio Morandi e per i Fienili del Campiaro a Grizzana Morandi (BO).
Di tutti questi nomi, ci soffermeremo su due in particolare, che a nostro parere hanno colto l’essenza delle nature morte e del tempo che le riguarda, un tempo lungo e silenzioso, insospettabilmente meticoloso.
Le fotografie dell’artista americana Mary Ellen Bartley emulano le tele di Morandi con l’inserimento di forme geometriche tra gli elementi della composizione: sono per lo più le coste dei libri o le copertine a circoscrivere le forme delle nature morte originarie. Giocando con accostamenti prospettici dalle forme rettangolari, Bartley traccia i confini delle forme nello spazio visivo a sua disposizione e quell’atmosfera pittorica che nelle tele di Morandi sembra dilatarsi, creando una patina astratta in molti dei suoi lavori, qui sembra dissolversi per fare chiarezza.
Non è un caso che alcuni dei libri ritratti appartengono proprio a quelli del pittore, come a voler lasciare traccia della sua ispirazione e delle sue ricerche, ora tangibile prova di una composizione scenica che vive oltre le mura dello studio in via Fondazza.
Il dialogo della Bartley con le opere di Morandi è espressione di un’imposizione nitida della realtà, realtà che per Morandi è sempre stata astratta: le sue ciotole, le brocche, le bottiglie esprimono l’immanenza senza qui e ora, dai contorni morbidi anche se chiari, che con la maturità si fanno sempre più minimali e sfuggono a un concetto di permanenza necessario nelle fotografie dell’artista americana. Con giochi di contrapposizione geometrica e trucchi scenici antecedenti allo scatto, le opere della Bartley sono bidimensionali e arrivano come un dato di fatto, dietro il quale vive la composizione di Morandi, emozionale e cubista allo stesso tempo.
In uno scritto dell’intellettuale britannico John Berger, i soggetti del pittore “esistono nello spazio” (se siete arrivati fino qui, vi consigliamo un’interessante articolo su Doppio Zero di Maria Nadotti) e questo è quello che è successo nella performance del coreografo Virgilio Sieni, in cui danzatori e danzatrici hanno mosso il loro corpo sul palco, tramandando gli oggetti delle nature morte.
Un rituale lento di movimenti ripetuti e a tratti consueti, in cui di mano in mano gli oggetti di Morandi arrivano fino al proscenio, come dopo una prova di composizione per il ritratto in studio: anteporre, posporre, affiancare, fino a trovare ognuno il proprio posto.
E quindi? Cosa vogliono dire queste interpretazioni di Morandi oggi? Come contestualizzarle nel nostro quotidiano?
Le pratiche dell’arte devono lasciare sempre un messaggio, questo è il loro scopo e quello che ci è rimasto vivendo l’anniversario Morandi è il bisogno di leggerezza.
Ci siamo specchiati nelle fotografie, così perfette, abbiamo vissuto la necessaria quanto lenta staffetta degli oggetti e abbiamo sentito che è arrivato il momento di lasciarceli alle spalle, per andare oltre. Mentre queste nature morte contemporanee prendono il sopravvento sul nostro operato e primeggiano nelle nostre vite, le nostre vite vorrebbero tornare a muoversi intorno a loro e non in loro funzione, opacizzandone il valore, come nelle tele di Morandi.
E poi diciamocelo, questo viaggio ci è servito per ricordare le sue opere, che anche senza anniversari circostanziali, regalano attimi di semplicità e leggerezza unici e invidiabili: provare per credere.
Ancora in mostra:
Mary Ellen Bartley: MORANDI’S BOOKS
A cura di Alessia Masi
Museo Morandi | Via Don Minzoni 14, Bologna
Fino al 7 luglio 2024