Adolescence è lo spaesamento del nostro presente

Uscita il mese scorso Adolescence è una miniserie britannica che in pochissimi giorni ha fatto stra-parlare di sé.

Le due menti, Jack Thorne e Stephen Graham con la regia di Philip Barantini, hanno preso spunto da fatti di cronaca inquietanti, diffusi nel Regno Unito: le aggressioni a colpi di coltello o “knife attacks”. “Che cosa succede di questi tempi ai nostri giovani uomini e quali sono le pressioni che affrontano dai loro coetanei, da internet e dai social?’” (wired.it)

Su questa domanda i due creatori hanno impostato la trama delle quattro puntate, per cercare di dare alla società una risposta. Ma quale?

Adolescence non parla solo di un ragazzino di tredici anni accusato di femminicidio o delle community incel allo sbaraglio, con la loro visione distorta dei rapporti uomo-donna. Parla dell’incomunicabilità tra generazioni e della debolezza degli adulti.

Purtroppo lo fa in modo superficiale e ricco di stereotipi. Ma allora cosa ne parliamo a fare?

Forse proprio perché mette sullo stesso piano genitori ed insegnanti, portandoli volutamente fuori da ogni logica narrativa comprensibile a un tredicenne.

Adolescence parla di un’educazione che sta sfuggendo di mano e che non riesce a essere integrata nella contemporaneità: nella serie, né a scuola né in famiglia sembra crearsi il contesto adatto. Ragazzi e ragazze vengono raccontati senza troppa personalità, senza che si possa entrare nel dettaglio delle loro insicurezze, mentre è evidente la goffaggine dei personaggi adulti: quanto crediamo a questa narrazione? Molto.

Secondo una recente ricerca su Scientific-report che definisce gli adolescenti “lupi solitari”, una grande percentuale di questi vive in stati di volontaria solitudine: poche relazioni, molta connessione e troppi social; in tre anni si è passati dal 15 al 39,4% (Cnr e Istat su avvenire.it).

Se su diversi media l’input è quello di guardare la serie a tutti i costi, dovremmo aggiungere che bisogna guardarla per non arrivare a essere in quel modo lì. Che non vuol dire non commettere atti di femminicidio e ascoltare sempre il proprio figlio o la propria figlia, ma vuol dire prendere coscienza di quanto si è sempre meno propensi alla relazione dal vivo e all’approfondimento empatico di una conoscenza.

Ogni personaggio di Adolesce sembra essere simbolo di caducità, in un luogo in cui la fiction potrebbe almeno avere una rivalsa morale. Vedere Adolescence e ammettere che non ci è piaciuto significa lottare per un mondo migliore, senza etichette e spauracchi tecnologici. Significa provare ad andare oltre per prevenire le conseguenze e ricalcolare i dati Istat.

Se a voi è piaciuto, diteci perché.

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