Wabi-sabi e l’arte dell’imperfezione

“Meno è di più” o va già bene così.

Triga, Pedretti © Pedretti

Triga, Pedretti © Pedretti

Un ordine sistemico di carattere metafisico, non strettamente legato alla funzionalità di un oggetto ed orientato a valorizzare la bellezza dell’incompletezza e della trasformazione.

Con queste parole Giulia Zappa ha definito di recente il concetto di “wabi-sabi” per domusweb.it. Termine di origini giapponesi e legato alla tradizione del tè, esiste per dare un senso verbale alla bellezza dell’imperfezione.

Se lo scorso mese abbiamo fatto un viaggio nella ceramica di design, dove l’equilibrio tra forma e coerenza era prezioso e avvolgente, ora andiamo dalla parte opposta, per testimoniare anche la passione dell’essere umano nella sua creatività e soprattutto il suo senso di contraddizione innato che permette alla forma di mutare nel tempo e di apprezzare tutto ciò che è rustico, verace, primitivo.

Il termine “wabi-sabi” è un concetto filosofico che celebra la bellezza dell’imperfezione, della transitorietà e della semplicità.

Una delle prime fonti etimologiche che si avvicina a questa terminologia si trova in “In Praise of Shadows” di Jun’ichirō Tanizaki, scritto nel 1933. Solo più tardi, nel 1959, Daisetz T. Suzuki ne fa un chiaro riferimento in “Lo Zen e la cultura giapponese” edito per noi da Adelphi, in cui si legge che la parola wabi indica la semplicità spirituale, mentre sabi la serenità del tempo e della solitudine.

Solo in quel momento la propensione spirituale dell’oriente raggiunge anche l’occidente, contagiando contemporaneamente lo spirito, e un modo nuovo di vivere gli oggetti. L’invito è quello di godere delle cose semplici, come la natura le porge, rimanendo estasiati dal passare del tempo.

Partendo dalle basi, alcuni esempi di oggetti wabi-sabi sono nelle ceramiche raku, dove tazze da tè o ciotole mostrano piccole crepe su smalti irregolari, dove ogni pezzo è unico e protagonista indiscusso del suo tempo.

Così anche i famosi giardini giapponesi tradizionali (karesansui): vivono nella semplice disposizione di pietre, muschio e sabbia, dove tutto sembra spontaneo e sembra vivere di un equilibrio profondo.

Questi momenti naturali vengono ripresi da più moderni oggetti di design, come tavoli o sedute di legno squadrati, dove la mancanza di una direzione vera e propria della forma viene poi bilanciata da elementi in ferro che ne affermano la stabilità. Ecco come l’imperfezione e la natura incontrano l’uomo.

Brand italiani che prendono ispirazione da questa filosofia sono Pedretti, con oggetti come Triga o Ciocat, e Francomario, con il suo tavolo in radica di pioppo per la collezione “pezzi unici”.

Ciocat, Pedretti © Pedretti

Ciocat, Pedretti © Pedretti

Lusso ed interior design li troviamo nel brand di Kathrine e Per Gran Hartvigsen: AYTM. Un po’ più sofisticato, dove il marmo raggiunge il tempo e gioca le sue linee in “Stilla clock”, un orologio da tavolo.

Stilla clock, AYTM © AYTM

Stilla clock, AYTM © AYTM

In un’epoca in cui la perfezione industriale domina l’immaginario collettivo, il wabi-sabi ci riporta alla dimensione autentica delle cose. A quella fragilità necessaria che rende ogni oggetto e ogni gesto umano unici.

Accettare l’imperfezione significa accettare il tempo: in fondo anche le nostre rughe sono il racconto della nostra vita.

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