Vermiglio, Maura Delpero

Non è il colore rosso, ma il nome di un paese in Trentino.

Scena tratta dal film "Vermiglio" di Maura Delpero

“Virginia! Ti carico di legnate!; hai fatto il brindisi con il papà, sei contento?”

Leone d’Argento a Venezia 2024, Vermiglio arriva nelle sale con grandi aspettative. Secondo lungometraggio di Maura Delpero è ambientato alla fine della seconda guerra mondiale e parla di una famiglia molto numerosa che vive tra le Alpi del Trentino, nel paese che dà il nome al film.

Cesare, padre di famiglia e unico maestro della valle, è un uomo molto severo e di grande cultura; aperto alle nuove possibilità che la vita offre, si prende la libertà di scegliere a quale dei suoi figli destinarle e come da buon patriarca, lavora al fianco del destino.

Privilegia la più piccola negli studi con sessioni private di lettura e compiti, e condanna le altre sorelle a una vita modesta e locale; se la media diventerà suora, la più grande potrà sposare un soldato siciliano, scappato dalla guerra.

Scena tratta dal film "Vermiglio" di Maura Delpero

Ci sono anche svariati figli, fratelli di cui non viene approfondito il carattere ma che ricadono in qualche cliché: il più piccolo è noto per fare svariate domande al maggiore, mentre il maggiore è arrabbiato con la vita e più specificatamente con il padre, che tenta di soddisfare senza successo.

La trama però si concentra sulla sfortunata sorte di Lucia, la maggiore, che resta incinta del suo futuro sposo e poi anche vedova: ma basta spoiler, anche se il più grosso ormai è scritto. Il film non ci ha convinto perché sì gli animali della fattoria, sì i costumi d’epoca e sì le montagne con una quantità di neve che oggi mai più, ma no: non esiste nessuna profondità psicologica dei personaggi.

Scena tratta dal film "Vermiglio" di Maura Delpero

C’è un malessere di sottofondo che riguarda ognuno dei protagonisti, ma di quasi nessuno ci resta qualcosa

Ci sono comparse come Attilio e Virginia che potrebbero avere un peso decisivo per arricchire narrativamente alcune scene, mentre restano sullo sfondo, come impacciate e povere di giustizia diegetica.

Poi ci sono svariati temi, forse troppi per due ore di film: c’è la maternità subita e ritrovata – cara alla regista, ci sono i postumi psicologici della guerra, c’è l’impotenza femminile rivendicata. Nessuno di questi però arriva dritto al cuore, nessuno diventa una battaglia per cui vale la pena lottare (e piangere timidamente in sala). L’unica cosa di cui davvero avremo nostalgia è il tempo: passa lento, come la pellicola, e inesorabile.

Voto da zero a dieci, cinque.

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