È tornato, di nuovo. Prima su TikTok, poi nei messaggi vocali, nelle chat degli amici stretti, forse anche su quelle con ChatGPT. Dopo il ghosting, oggi lo stashing torna a far parlare di sé.
Usato per la prima volta dalla giornalista inglese Ellen Scott nel 2019, descrive un’esclusione all’interno della relazione: l’esclusione del partner dal mondo dell’altro e l’esclusività della coppia nella relazione: non si è in nessun posto se non con lui o con lei, a partire dalle comparse sui social, fino ai pranzi in famiglia.
Una relazione che esiste solo nella parte privata della vita, ma sparisce appena si apre la porta verso il mondo eterno. Scambiata inizialmente per una forma di pudore, in cui si preferisce la privacy, lo stashing crea una bolla di inquietudine e domande: dentro si è in due, fuori tutto il resto.
Un’intimità apparentemente custodita che diventa però isolamento. Perché quando una relazione cresce, ha bisogno di condivisione, di piccoli riconoscimenti anche e soprattutto esterni. E non si tratta di farsi taggare o mettere cuori su Instagram, ma di essere riconosciuti. Di sapere che l’altro è orgoglioso di presentare il proprio partner alle persone care.
Riconoscere lo stashing non è semplice. Ma soprattutto: perché succede? A volte è paura del giudizio, a volte è disinteresse, altre ancora è solo mancanza di coraggio nel prendere una posizione di fronta alla propria comunità di relazioni. In ogni caso non è un segno d’amore.
Essere “ufficiali” non significa esibirsi, ma esserci davvero. Non serve una foto insieme, serve presenza. Lo stashing finisce nel momento in cui si smette di accettare di essere invisibile. Perché l’amore, se c’è, deve poter respirare anche alla luce del giorno, senza filtri, senza scuse, e soprattutto senza nascondersi.
Partecipa alla discussione su LinkedIn