“ – Ti trovo bene Lee.
– Davvero?
– No, ma è bello vederti”
La trama di questo film è inafferrabile. Se amate la letteratura beat e se avete avuto anche solo una piccola esperienza dei romanzi di William Burroughs, probabilmente Queer vi sembrerà fantastico.
Se invece no, potreste rischiare di uscire fuori storditi e stordite, con anche una punta di amarezza.

Scena dal film "Queer" di Luca Guadagnino (2024)
In questo film non c’è nulla di poetico sull’amore omosessuale rispetto a quanto ci aveva commosso Chiamami con il tuo nome. Effettivamente è la narrativa stessa di Burroughs ad adottare una linea disturbante e tachicardica: il film è il riadattamento al libro omonimo dell’autore statunitense.
Come nel romanzo, Guadagnino privilegia la rapidità dei pensieri, delle azioni, delle visioni stralunate di quel mondo alterato che appartiene solo “a chi si fa.”
E Lee, il protagonista del film, è un tossicodipendente: alcol e droga sono il suo pane quotidiano e non lo abbandonano mai, per tutti e tre i tre capitoli del film.
Poi c’è il sesso, che non chiameremo tossicodipendenza perché il sesso non è tossico, ma Lee cerca spesso compagnia e tra un bicchiere e un altro si innamora di un giovane marinaio accompagnato: Eugene.
Inizia una storia di incontri tra corpi mal corrisposta, che culmina con un viaggio in Ecuador alla ricerca dello yage, una potentissima droga capace di rendere chi la assume telepatico. Lee ed Eugene si ritrovano così nella giungla, raggiungendo l’unica donna sul continente che pare sappia dove si trova lo yage e come sia fatto.
La terza e ultima parte del film è forse quella più emozionante di tutte: dopo aver assunto lo yage, secondo un rituale condotto dalla donna, i due partono per un trip senza muoversi di un dito: allucinazioni strazianti permettono ai loro corpi di fondersi, di squarciarsi, di entrare l’uno in simbiosi fisica con l’altro.
Ed è qui che la trama si ferma, rallenta: non vediamo più Lee bere affannosamente, non lo vediamo più entrare e uscire dal bar, sudare, scopare. Lo vediamo fondersi nella spalla di Eugene, nel suo torace, attraversarlo.
Quando il film finisce, usciamo dalla sala con qualche perplessità:
a cosa è servito tutto questo? Non cerchiamo certo un senso etico, ma ci domandiamo perché realizzare un film così. Ci abbiamo pensato lungamente e ci siamo detti che potrebbe essere una risposta a chi è incline alle dipendenze: farne a meno è impossibile, basta avere la consapevolezza di cosa assumi, non tanto di quanto ne assumi. In fine dei conti saranno sempre e comunque solo fatti tuoi.
Voto da zero a dieci, cinque

Scena dal film "Queer" di Luca Guadagnino (2024)