“Dovrai provare tutto ciò che ho provato, che ho vissuto con le mie due figlie maggiori. La sofferenza che ho patito, il dolore della separazione. L’angoscia di svegliarmi con il ricordo della loro scomparsa.”
Ci mettiamo un po’ a capire quali sono le donne vere e quali no; che ruoli giocano e chi è chi. Per donne vere intendiamo Olaf e le due figlie minori: Eya e Taissir. Sì, perché Quattro figlie è un documentario e si basa su una storia realmente accaduta, ma per raccontarla la regista franco-tunisina Kaouther Ben Hania ha scelto di lavorare con tre attrici, oltre alle tre donne protagoniste.
Quindi c’è lei, l’originale Olaf Hamrouni, e il suo personaggio, recitato dall’attrice tunisina Hend Sabri. Entrambe davanti alla telecamera raccontano e interpretano una vicenda familiare femminile intransigente, che alterna risate a dure confessioni, in cui la tensione narrativa è sempre alta e sospesa fino alla fine. Quando l’emozione e il ricordo di certi momenti raggiungono la prima donna, interviene la seconda e la storia prosegue.
Olaf è sempre stata una ribelle, non voleva sposarsi e rifiutava il marito imposto ma da cui ha avuto quattro figlie, educate testardamente e tenacemente al comportamento giusto da tenere: niente sesso e solo un uomo degno, poche smancerie e solo studio, niente belletti, rossetti, civetterie.
Le due figlie minori che vediamo davanti alla telecamera alternano racconti in primo piano in cui tornano indietro nel passato, raccontando un’infanzia a tratti spensierata e sempre in compagnia delle due sorelle maggiori, Rahma e Ghofrane, che ora non ci sono più. A interpretarle le attrici Nour Karoui e Ichrak Matar, che ripercorrono con loro momenti felici e ribelli.
Lo sappiamo, non stiamo arrivando al punto, ma perché non vogliamo arrivarci.
L’unico punto che vogliamo condividere qui è che in questo documentario è chiaro quanto certe rigidità nell’educazione di figli e figlie portino a scelte estreme, a rivoluzioni personali capaci di condizionare la vita dell’intera società. Nelle prima scene del film facciamo il tifo per Olaf, le siamo vicino e ci commuoviamo nelle sue lacrime, ma mano mano che la donna prende forma e verità davanti alla telecamera, capiamo il perché di quelle due sorelle maggiori scomparse, prendiamo le distanza da una madre così risoluta e priva di lungimiranza empatica.
C’è una scena verso la fine in cui si inquadra il suo volto, in uno dei tanti monologhi a telecamera fissa che la riguarda. In quel momento sembra quasi anche lei comprendere dove ha sbagliato, cosa avrebbe potuto fare meglio e solo in quel momento nei suoi occhi si intravede umanità. Fattore non indifferente in questa narrazione, in cui c’è una costante alternanza tra vita reale e finzione, tra messa in scena del dramma e ricerca dello svelamento del dramma realmente accaduto.
Un dramma che anche noi qui ci asterremo dal raccontarvi, perché dovete andare a vedere il documentario. Però prometteteci di non leggere certe altre trame, vi rovinereste la risoluzione della sparizione, che è un espediente narrativo vincente e ci permette di respirare un po’ di più.
Voto da zero a dieci, sette e mezzo.