Libera musica in libero spazio

Il potere della techno.

Berghain nightclub, Berlino © Roman März / Singhur

La scorsa primavera l’UNESCO ha inserito la techno nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità. Quando la notizia uscì, fece velocemente il giro del web e come molte news, finì nel dimenticatoio.

Ma perché parlarne ora?

Due settimane fa a Bologna l’hub periferico e catalizzatore di sperimentazioni creative Ex-Centrale ha organizzato un live set dal nome “Eramnesia”, basato esclusivamente su performance di musica techno.
Il termine deriva dal greco: ecmnesìa e descrive lo stato psichico caratterizzato dalla perdita dei ricordi della vita recente e dalla sensazione di rivivere un determinato periodo della vita passata. (treccani.it)

Distacco emotivo dal quotidiano e necessità di vivere in epoche pregresse dunque; una sorta di bias cognitivo persistente che invece di recriminare il passato, lo abita.
Coloro che ne soffrono, sono spinti a mettere in atto cambiamenti non indifferenti, agendo nella vita privata o nella società per rendere tutto più in linea con le proprie visioni; come però scrivono i tipi dell’ex-centrale: “L’eramnesia non è solo un lamento, ma può essere un catalizzatore per la riflessione e l’azione costruttiva”.

Da qui nasce l’evento: musica no stop dalle 21 alle 04 di mattina senza nessun dj, con alternanza di performer e artisti visivi.

Si è trattato di un live sound su base elettronica che ha raggiunto tutti gli spazi del locale, partendo da un “generative ambient set”, passando per una slow techno fino alla performance pre after con synth analogici e modulari.

Sostanzialmente l’arroganza del suono e l’effetto metallico dei beat techno non solo hanno invaso la mente di chi ama questa musica e la balla fino al giorno dopo, ma anche le pareti, in senso letterale e architettonico.

La techno infatti è un fenomeno musicale e sociale nato a Berlino verso la fine degli anni Ottanta. La sua energia ha modificato l’intero assetto urbano, rivitalizzando edifici abbandonati e luoghi clandestini scelti come scenografie per feste musicali notturne e clubbing. È il caso del Berghain vicino alla stazione Ostbahnhof, un club situato all’interno di una ex centrale elettrica della Berlino Est risalente ai tempi della DDR.
La sala principale è alta 18 metri e può ospitare fino a 1.500 persone.

Nei pressi di Ostkreuz e poco fuori dal centro c’è il Sisyphos, una vecchia fabbrica di biscotti con due sale interne e una spiaggia artificiale all’esterno, dove fare una pausa a ridosso del fiume. Mentre il Watergate sulla Falckenstein Strasse è uno degli edifici più iconici per il suo genere: anche lui si affaccia sul fiume e due delle sale da ballo che occupano due piani del palazzo, hanno una parete totalmente in vetro con vista sull’acqua, oltre a una piattaforma esterna che poggia proprio sullo Sprea.

Come scrive Kevin Carboni su wired.it, “la scena techno propone non solo uno spazio dove ballare, ma una cultura del rispetto, della valorizzazione delle diversità, della consapevolezza, della collaborazione, della solidarietà e dell’innovazione”.

Lo fa valorizzando gli spazi urbani industrializzati, creando comunità libere e sicure, dove ogni persona viene accolta allo stesso modo a prescindere da genere, etnia, orientamento sessuale, età o provenienza geografica.

L’idea di inserire la techno nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità è nata nel 2014 dal matematico e musicologo Hans Cousto. La domanda è stata presentata ufficialmente otto anni dopo, nel 2022, e quest’anno finalmente accolta.

Pensiamo che anche questo sia un modo per parlare di rigenerazione urbana, soprattutto accettando l’idea che esistono edifici che vivono di giorno e altrettanti che di notte ballano.

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