“Abbiamo anche degli ortaggi, qualche erba aromatica, rosmarino, barbabietole. Questo è finocchio. Girasoli. E qui c’è il cavolo rapa. I bambini adorano il cavolo rapa.”
Mica Levi è una compositrice britannica di 37 anni. Ha lavorato a diverse colonne sonore e quella per La zona d’interesse la firma lei.
È così che si apre – e si chiude, non è uno spoiler – il film:
cinque minuti di schermo nero e un sottofondo sonoro oscuro, ombroso, che nel corso della narrazione è arricchito da lamenti soffocati, cori polifonici macabri, spari.
Sì, perché questo film è ambientato negli anni quaranta, durante le esecuzioni naziste e parla di una benestante famiglia tedesca: lei madre di molti bambini, donna mascolina che si muove con poca eleganza tra casa e giardino (fantastica Sandra Hüller), ma che accudisce marito e prole. Lui, direttore del campo di concentramento di Auschwitz confinante, uomo solenne e risoluto, che ama il suo lavoro tanto quanto tiene alla propria pulizia.
Si toglie gli stivali prima di entrare in casa e si pulisce strofinosamente le mani dopo aver fatto sesso con una donna probabilmente ebrea che di certo non è la moglie.
Ma non è il solo a badare a un ordine compulsivo: in casa Höss le diverse figure femminili che la governano, non fanno altro che sistemare, spolverare, mettere a posto stanze bomboniera, dove il cibo sembra non avere sapore e gli esseri umani non avere sentimenti.
Queste badanti, insieme al giardiniere, hanno corpi sgraziati e goffi, curvi o ebbri, non parlano mai e si limitano a obbedire agli ordini della signora, che invita amiche comari a cui distribuisce sottovesti e gioielli, appartenuti alle donne ebree di là dal muro.
Il film inoltre è pieno di scarpe, ce n’è almeno un paio per scena: sulla sponda del fiume dove gli Höss fanno il bagno la domenica, fuori dalla porta della villetta e nelle inquadrature di passaggio. Senza contare il paio che affonda nella terra, in alcuni momenti spettrali e notturni del film, indossate da una bambina che pianta frutta di nascosto, con la speranza che loro possano nutrirsi.
Ce ne sono poi di ammassate, scarpe di ogni taglia e modello, ma non vi dirò né dove né quando. Perché vengono inquadrate in un momento del film in cui la verità arriva con un silenzio improvviso, accompagnata da una pulizia solenne che ritorna, da uno spolverio prima che la biglietteria apra, rivelando la sconfitta della redenzione davanti agli occhi di tutti.
Se non siamo stati molto chiari, è perché non vogliamo dirvi troppo. Questo film va visto e non raccontato,
va visto per conoscere la parte oscura dell’uomo e della donna, quella capace di godere del bello ascoltando lamenti di orrore, notte e giorno. Questo film va visto per non diventare mai così e fare in modo che neppure i nostri vicini lo diventino.
Voto da zero a dieci, dodici.