“Scusate, posso rubarvi un minuto? Mi chiamo Rebecca King, ho 29 anni, mi sono laureata in lettere e adesso lavoro nel reparto risorse umane di una multinazionale. Ma questo non è importante.”
Avete presente i dialoghi di Aspettando Godot? Oppure di Giorni felici? Non so voi, ma nel nuovo film di Yorgos Lanthimos abbiamo trovato molto di Samuel Beckett; qualcosa di ancora più ironico e malsano di quanto la sua drammaturgia preveda.
Povere creature! ci aveva lasciato perplessi, se vi siete persi la recensione la trovate qui, andando controcorrente. Ci mancava quel Lanthimos conturbante di Alps che in Kind of kindness abbiamo ritrovato: effettivamente è tornato nel suo stile con gentilezza.
Sì, ci ha disgustati vedere che il vomito possa essere oggetto di un bacio alla francese, come anche osservare un pollice spadellato e servito con broccoli. Abbiamo chiuso gli occhi quando una jeep è passata due volte sopra il corpo di un uomo esanime sull’asfalto, o quando una ragazza si è frantumata sul fondo di una piscina senza acqua. Bisogna ammetterlo, era questo quello che cercavamo: disturbo.
Due ore e quarantaquattro minuti, tre storie diverse, stesso cast e un solo comune denominatore: R.M.F. che fa cose: muore, vola, mangia un sandwich. Emma Stone, Willem Dafoe, Jesse Plemons, Margaret Qualley e Hong Chau contribuiscono al fatto che lui muoia, voli e mangi un sandwich. Per tre volte personaggi diversi, che vivono il perturbante come quotidianità, in ville pazzesche disperse nel bosco, con macchine pazzesche che sfrecciano su strade sempre libere.
Impossibile tracciare una trama, divertente cercare un filo narrativo che giustifichi le azioni di questi personaggi nei tre momenti del film. La verità è che ogni azione nasconde una nostra paura e la rivela con una comicità gelida, sottile, dove se colta, riserva risate sovrumane, come tutto quello che accade sullo schermo.
Ma si ride di cosa? Di paura: Yorgos spazia dal timore della morte alla perdizione dell’innamoramento, dall’infatuazione alla resurrezione; dalla sessualità al rituale e in ognuna di queste tematiche ci mette ironia e assoluta normalità.
Un’ironia malsana che ci fa ridere e appunto, ci spaventa.
Perché nelle paure di Rita, di Robert o Sharon potrebbe esserci la nostra. Potremmo anche noi un giorno avere paura di sacrificare il fegato per darlo in pasto all’amore della nostra vita, dopo aver pianto sulle scale per l’indecisione del gesto. Potremmo anche noi avere paura di riuscire a distruggere un matrimonio rivelando La Verità o rinnegare quello che abbiamo, con tanto di prole. Non è un timore possibile?
Paura di gesti folli, inconsueti, perché fatti con estrema lucidità. Non è quello che accade al miglior assassino? (Se non l’avete letto, l’ultimo libro di Silvia Avallone farà luce anche su questo aspetto).
In Kind of kindness l’attrazione è per quello che non vorresti vedere mai, provare mai, fare mai. È per la curiosità di dare un senso alla redenzione di R.M.F., che beato si mangia un sandwich come se nulla gli fosse mai accaduto, come se fosse possibile essere sempre buoni e fare le cose solo a fin di bene. Perché alla fine è questo quello che anche accomuna i personaggi delle tre storie, oltre R.M.F. Ogni gesto è a fin di bene: dall’omicidio al suicidio. Sì, siamo tutti complici e nessuno è colpevole e in fine dei conti cerchiamo di essere accettati, sempre e comunque.
Voto da zero a dieci, dieci. Anche solo per il ballo di Emma Stone fuori dalla Dodge Challenger viola, sulle parole di Brand New Bitch.