Per la sua diciannovesima edizione, Fotografia Europea indaga la relazione tra uomo e natura. Un percorso espositivo molteplice e districato, che ti fa attraversare tutta la città in lungo e in largo e in luoghi dove forse non si andrebbe o non si è ancora mai arrivati.
Non è la prima volta che parliamo di questa collettiva internazionale, le siamo molto affezionati e sempre di più ci rendiamo conto di come le pratiche della fotografia si accostino a quelle dell’arte contemporanea: installazioni concettuali per immagini documentarie, a significare una narrazione come testimonianza della realtà.
Certo, il mezzo fotografico è già di per sé narrativo, ma passando dai Chiostri di San Pietro a Palazzo dei Musei è evidente come questa edizione voglia urlare la relazione complessa tra l’operato umano e quello naturale, dove l’incedere del primo minaccia la resistenza del secondo e viceversa:
siamo di fatto anche noi natura, umana e disumana.
Lo testimonia la grande retrospettiva dedicata a Susan Meiselas, fotografa statunitense classe 1948 e membro di Magnum Photos dal 1976. Non tanto per l’approccio politico e sociale che ha il suo percorso – nelle opere coinvolge i soggetti in un’incessante esplorazione e sviluppo di narrazioni, lavorando su diversi paesi e soggetti: dalla guerra ai diritti umani, dall’identità culturale all’industria del sesso (ndr) – quanto al modo in cui fotografa tutto questo; un modo schietto, spietato, appasionato, viscerale, nudo.
Il suo è un reportage di esseri umani, dilaniati dal conflitto della rivoluzione o spiati nel proprio sesso per raccontarlo come merce carnevalesca.
Nel lavoro di Helen Sear, artista inglese, la natura è scansionata: l’uomo scompare, per lasciare spazio al modo in cui è solito osservarla: radiografie di arbusti e tronchi con camera fissa per esplorare “un senso di connessione e ritorno alla vita, attraverso esposizioni multiple e stratificazioni”.
Con Arko Datto, artista ed educatore indiano, restiamo increduli alla condizione climatica di chi vive intorno al Gange: acqua che divora la terra emerge in lightbox luminescenti, dove le immagini sembrano sovraesposte o sottoposte all’uso di un flash eccessivo. Quello che resta sono immagini artificiali, industriali, dove il progresso dell’uomo si rispecchia in acque contaminate da una civiltà tecnica ingrata.
Impossibile parlare di tutti gli artisti e le artiste esposti, ma segnaliamo con piacere i lavori di Camilla Marrese (Bologna, 1998) con Field Notes for Climate Observers, e Alessandro Truffa (Cuorgnè, Torino, 1996) con Nioko Bokk, per la collettiva “Contaminazioni”, Giovane fotografia italiana #11 Premio Luigi Ghirri, a cura di Ilaria Campioli e Daniele de Luigi; perché “[…] Abbiamo molta terra e, nel gestire il nostro spazio imitiamo la foresta. Se si va nella foresta, si trovano molti alberi un po’ diversi fra loro, ma sono tutti lì insieme, tutti vicini e questo è ciò che nutre il suolo e lo rende ricco. Quello che abbiamo fatto qui è semplicemente imitare la foresta e piantare molti alberi in modo che ogni elemento presente fosse utile per il suolo. […], Yaya, guardiano di Nioko Bokk.
* La citazione iniziale è di Adele, una bimba che come molti altri e altre, ha lasciato il proprio contributo con un disegno e un pensiero, in uno spazio in mostra dedicato ai bambini.
Fino al 9 Giugno 2024
La natura ama nascondersi
A cura di Tim Clark, Walter Guadagnini e Luce Lebart
Reggio Emilia, luoghi vari