È grazie a Jospeh Kosuth che l’immaginario concettuale irrompe sulla tela: le parole che danno forma alla forma. Almeno da che ne abbiamo memoria noi, che parliamo di arte proprio qui.
Più importante dell’estetica, più importante dello stile, è il concetto che conta: la forza di un’idea, che in realtà diventa poi ideologia. Negli Stati Uniti nasce l’arte concettuale alla fine degli anni sessanta ed è un modo per tagliare i ponti con un perbenismo estetico di visione: dal futurismo al cubismo, all’astrattismo all’informale. Ci fosse stato qualcuno a occuparsi di contenuto, di messaggio, di informazione al di là del colore.
Oggi il messaggio è ovunque: non solo pubblicitario, ma anche testuale, vocale, digitale. E noi, che di questo anche ci occupiamo, non potevamo che essere affascinati da Exprimo, una collettiva da poco inaugurata al Mattatoio di Roma.
Otto artisti e artiste di diverse generazioni e con diverse pratiche intrecciano linguaggi visivi e testuali, in un viaggio che scompone e ricostruisce il senso del messaggio. Politico, sociale e culturale.

EXPRIMO, mostra collettiva. Mattatoio, Roma. Opera: "Stay Behind", Goldschmied & Chiari
A cura di Chiara Nicolini, la mostra gioca sullo spaesamento che le parole – se inserite in un determinato contesto – possono creare, riflettendo sul potere del linguaggio in sé.
Per citare l’incipit del comunicato stampa, esprimere significa: manifestare il proprio pensiero o i propri sentimenti, spiegarsi con la parola. “e. le proprie idee”.
Questa frase non solo è attuale, ma anche politica.
Maria Adele Del Vecchio stampa parole su scialli tramandati, cucendo la memoria tra fili e significati. Giorgia Errera sfida il linguaggio digitale, trasformando pulsanti di tastiera in componimenti che negano il controllo. Goldschmied & Chiari danno forma all’informe, mentre il collettivo Numero Cromatico seziona la percezione della parola fino all’astrazione.

EXPRIMO, mostra collettiva. Mattatoio, Roma. Opera: "Quinto dominio", Senza titolo, Giorgia Errera
E poi c’è Santiago Sierra, forse la figura più critica tra le altre, che carica ogni lettera di azione: con il film Palabra Destruida l’attrito tra creazione e distruzione è chiaro. La parola “Kapitalism” compare suddivisa in rettangoli di immagini: ogni lettera appartiene a porzioni di paesaggio e in quanto tale, vuole essere “fiera vittima” di una lenta e asincrona distruzione.
Con Catalina Swinburn invece la parola diviene tessuto, anche in questo caso è un video il mezzo principale, che mostra come tessere il linguaggio: in “Analepsis” assistiamo alla smaterializzazione del significato originario del testo.
La ricerca di Teresa Gargiulo invece si spinge nel viaggio sonoro della comunicazione: “ogni elemento linguistico viene messo in discussione, analizzato e decontestualizzato; il punto di partenza è la ricerca di fonemi sperimentali, particelle sonore mai emesse per creare delle composizioni musicali.”
Con “Exprimo” la parola diventa gesto, frammento, corpo. Il significato sfugge, si frantuma, eppure resta. Ci sfida.
Fino al 6 aprile 2025
Mattatoio, La pelanda
Piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma