La scorsa settimana Mark Zuckerberg ha dichiarato di voler fare a meno della figura dei fact checkers nella gestione delle informazioni che circolano su Meta: stop al programma di verifica delle informazioni su Facebook e Instagram. Sì alla libertà delle informazioni e alla riduzione degli errori nella moderazione dei contenuti.
La notizia ci ha fatto riflettere e sì lo sappiamo, non siamo i soli. Fortunatamente al momento questa politica si sta attualizzando solo negli Stati Uniti, in Italia possiamo ancora incorrere nel rischio di non leggere una fake news.
È davvero così?
I fact checker hanno origine in America intorno agli anni ‘20, con la nascita del giornalismo. Si trattava di figure interne alla redazione, a cui veniva dato il compito di verificare le informazioni prima della pubblicazione degli articoli. La verifica delle fonti, oltre a essere stato un corso universitario in capo alle materie umanistiche, è ormai da diversi anni una responsabilità della figura del giornalista.
Se il medico o la psicoterapeuta hanno il segreto professionale, reporter e giornaliste hanno l’obbligo di verificare le proprie fonti di riferimento, durante la stesura di un articolo. In qualità di autrici e autori di ciò che molti di noi leggiamo ogni giorno, hanno la responsabilità di divulgare il vero.
Nel ragionare su questa figura e sulla precarietà con cui viene inquadrata oggi, ci siamo soffermati su un’affermazione del professore di Scienze Informatiche alla Sapienza di Roma per Radio Rai Tre Walter Quattrociocchi: “abbiamo dato in outsourcing a blogger la verifica delle informazioni”.
Durante la trasmissione, Quattrociocchi ci ricorda che i contenuti veicolati dalle pagine che seguiamo su Instagram o Facebook sono puro intrattenimento travestito da informazione e che questo viene gestito da ghost writers più o meno velleitari. Piazze digitali e pubbliche, i social diffondono centinaia di informazioni ogni giorno e in ogni istante, di argomento svariato, con l’utilizzo di ogni linguaggio disponibile e in modo disparato.
Poi ci sono i Social Media Manager, che gestiscono questo flusso e svolgono diverse funzioni, variabili in base alle agenzie di comunicazione che li assumono o li pagano a partita iva: pubblicano i contenuti, moderano le communites, sono responsabili della redazione dei contenuti stessi in mancanza di un o una copy. Tuttavia nessuna delle figure precedenti (SMM e copy) sono giornaliste professioniste.
Il problema quindi non è tanto quello della possibile scomparsa dei fact checkers anche in Italia, quanto quello di distinguere chi si assume la responsabilità etica del giornalismo nello scrivere un contenuto online e chi no. Verificare le fonti, dialogare con responsabilità con Gemini o Chatgpt dovrebbe essere una priorità di chiunque utilizzi questi strumenti per divulgazione.
Proprio perché non esiste più solo quella redazione e quel giornale, ma blog, caroselli in seno a web magazines e il pensiero libero delle persone, che ora è visibile ai più.
Scrivere sul web è a tutti gli effetti una responsabilità.
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