Nell’ultimo periodo si è sentito parlare spesso di disagio: disagio giovanile, scolastico; disagio mentale, disagio sociale.
La parola disagio è poi anche utilizzata in alcune conversazioni tra ragazzi e ragazze della gen Z, anche se in quei contesti la sua accezione è ironica e vorrebbe uscire indenne, dopo essere accostata a fatti apparentemente superficiali (“ieri mio fratello si è ustionato di brutto mentre beveva il caffè, disagio”).
Vi ricordate di quando abbiamo analizzato analogamente la parola “malessere”? Lo abbiamo fatto qui, la radice emotiva è molto simile al topic di questo articolo.
Che ci piaccia o no – no, non ci piace – la parola disagio è ormai uno stato d’animo e di vita, una consuetudine che se la gen Z ci ride sopra per non piangerne, i millennials se la vivono tutta.
L’ansia legata al futuro, la pressione lavorativa, le aspettative professionali e di nucleo familiare, i cambiamenti climatici, le incertezze economiche: ognuno di questi fattori contribuisce a una preoccupazione invisibile agli occhi e poco empirica, riguarda certamente il futuro, questo sconosciuto.
La generazione X, i nati tra il 1965 e il 1980, ha vissuto un disagio ben diverso, una sorta di “ribellione culturale”, che poi tanto disagio non è stato.
Alcuni dei capisaldi sociali come la famiglia, l’economia, la salute e forme di autorevolezza varie si sono sgretolate davanti ai loro occhi, lasciando le prime macerie:
l’aumento dei divorzi, la recessione economica post bellica, le prime forme di violenza politica sotto gli occhi di tutti e l’arrivo dell’AIDS: famiglia e Stato contro di loro.
Ma se questo li aveva spronati nel cercare di cambiare qualcosa, nel provare a cucire dei buchi dove il vuoto alienante imperava, i ragazzi e le ragazze della generazione successiva ne hanno fatto una fortezza, dentro cui costruire false speranze: nulla di quelle toppe di recupero pseudo rivoluzionario è davvero servito.
La differenza è che oggi il disagio sembra essere parte dell’aria che si respira e chi avrebbe l’età per guidare il futuro ed essere da stimolo per i più giovani, è inerme e lascia che tutto scorra per far parte del flusso.
No, non si tratta di un articolo pessimista, stiamo chiamando le cose con il loro nome una volta per tutte, per metterci un punto e dimostrare una sana accettazione, senza alcuna forma di giudizio.
Una persona disagiata è una persona che mostra disagio nei confronti di un mondo in cui non si riconosce più e che, in silenzio, abbandona senza cercare di cambiarlo, fino a quando non lo sarà abitato da nessuno.
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