• Tempo libero

Quando il pop è pop

“Prendere sul serio la cultura pop non significa dedicarle sempre analisi strutturaliste fino allo spasimo (…), ma dosare gli sforzi in proporzione a quello che chiede il prodotto di cui si sta parlando.”

Riportiamo un estratto di Claudia Durastanti per la recensione del nuovo album di Caroline Polachek, cantautrice statunitense. Non ci soffermeremo nell’analisi della sua musica, ma sulle parole utilizzate nell’articolo e sul concetto che esprimono. Effettivamente in alcuni contesti “alti”, sembra che sia necessario ghettizzare la musica pop, o declassandola o ammirandola “fino allo spasimo”.

La musica pop nasce in Inghilterra e negli Usa a metà degli anni ‘50 e indica un genere di musica concepita e prodotta per il consumo popolare, urbano e di massa. Ha origini dal retaggio della civiltà agricola e pastorale e da essa eredita alcuni modi di fruizione, ma non quelli di produzione. La creatività della musica pop oggi viene influenzata dalle nuove forme di comunicazione e non più da spinte “autogene” (Treccani)

Parlare di musica pop in modo sofisticato è quasi un ossimoro: è come se non si volesse capire fino in fondo di che lingua siamo fatti. La sua comprensione in un contesto di comunicazione quotidiana è invece molto stimolante e soprattutto negli ultimi anni ci permette di capire, almeno in Italia, come comunicano i ragazzi e le ragazze.
Perché “t’immagini se fossimo al di là dei nostri limiti/Se stessimo di fianco alle abitudini/E avessimo più cura di quei lividi?/Saremmo certo più distanti, ma più simili/E avremmo dentro noi perenni brividi” (Ultimo, Alba, 2023)

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  • Spunti dal web

Cancel culture

“Matilda non può più leggere Kipling, come faceva nel testo originale (troppo colonialista), ma è costretta a cambiare gusti e optare per Jane Austen. Tutto sommato, non le è andata male ma dovrà dimenticare il suo primo amore letterario per essere «moderna» e «politicamente corretta» (…) Ne sa qualcosa anche Pippicalzelunghe, bacchettata sempre perché diseducativa, mentre al Piccolo Principe sarebbe il caso forse di affiancare una comprensiva figura genitoriale: non si gira infatti da soli per i cieli.”

Arianna Di Genova ironizza sul Manifesto rispetto alla censura dei manoscritti di Roald Dahl, scongiurata di recente, ma avanzata dalla casa editrice Puffin Books in accordo con la Roald Dahl Story Company, l’associazione degli eredi dell’autore. Entrambi i soggetti avrebbero revisionato alcune parti dei suoi libri per “correggere” termini reputati oggi offensivi. Si è tornato a parlare di “cancel culture”, un movimento nato negli Usa e nel Regno Unito volto a modificare o eliminare termini e frasi considerate politicamente scorrette o non inclusive.

Molti cartoni animati della Disney sono rientrati in questo concetto, così come di recente il personaggio di James Bond nei libri di Ian Fleming. Fenomeno degli anni duemila associato ai Black Lives Matter, quello della cancel culture è stimolato dalla tecnologia e dalle infinite possibilità che il web genera nei confronti della scrittura e della comunicazione, mettendo in discussione l’evoluzione della nostra società e il suo passato. Pensiamo che il solo atto di cancellare qualcosa equivalga a nasconderla. Non possiamo infatti cancellare la storia e nasconderla, vorrebbe dire non averne esperienza, di nessun tipo. Ad oggi la Puffin Books sembra abbia ritirato l’iniziativa, ma lo sgomento è sulla sola ipotesi di poterla mettere in atto. Cosa ne pensate?

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  • Mondo del lavoro

Head of content marketing

Responsabile della crescita di: community, fanbase, impressions e performances su tutte le piattaforme social media affidate.
È in grado di delineare tone of voice e linea editoriale dei canali che gestisce, quindi di organizzare il lavoro del team di creators a sua disposizione. Altrettanto importante è il coordinamento delle attività di Out of Home e PRaggio digital, per mantenere un approccio coerente e multicanale.

L’Head of Content Marketing sa benissimo cosa e dove spiare, ma lo fa sempre con astuzia e mai per plagio. Convive con due lati di sé: quello pratico e quello creativo, se da un lato conosce tutti i software di gestione social, dall’altro perde ore su Illustrator per disegnare la caricatura del suo CEO.

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  • Tempo libero

Great resignation

Anche se è una notizia di un mese fa esatto, le dimissioni della presidente neozelandese Jacinda Arden del 18 Gennaio tornano su giornali, podcast e web magazine.
Entrata in carica nell’estate del 2017, è stata la persona più giovane nella storia del paese e la quarta al mondo a ricoprire il ruolo di premier. “Avere un ruolo così privilegiato comporta responsabilità, tra cui quella di sapere in quale momento sei la persona giusta per stare al comando e anche in quale momento non lo sei. Ho dato tutta me stessa per essere primo ministro, ma mi è anche costato molto. Non posso e non devo fare questo lavoro se non ho il pieno di energie, oltre a un po’ di riserva per quelle sfide impreviste che inevitabilmente si presentano” (fonte: ilsole24ore.com).

Lasciando da parte le ripercussioni politiche nello specifico, quello che è accaduto è sinonimo di grande responsabilità e sincerità, ma in termini sociali porta avanti un fenomeno nato negli Stati Uniti già nel 2021 e che si è poi diffuso anche in Italia: la Great Resignation, la rassegna delle dimissioni e l’abbandono del posto di lavoro, in vista di una prospettiva migliore.

Alla fine del 2022 le dimissioni volontarie hanno toccato il 60% delle aziende secondo i dati pubblicati dall’Aidp, l’Associazione italiana direzione personale. Per lo più giovani tra i 26 e i 35 anni e per lo più nel Nord Italia. La stanchezza e lo stress, ma anche la ricerca di una stabilità economica al pari di quella emotiva in vista di una qualità della vita migliore, sta velocemente avanzando. Da qui una considerazione: quanto tempo della nostra vita dedichiamo al nostro lavoro, nell’arco di una giornata? Le famose otto ore sono davvero poi otto? E in quelle restanti, riusciamo a ricaricarci davvero?
Torniamo alle dichiarazioni della Arden: “Non posso e non devo fare questo lavoro se non ho il pieno di energie”. Potrebbe equivalere al “non posso avere un figlio, (o intraprendere una relazione sentimentale seria o prendermi cura dei miei genitori) se non ho il pieno delle energie”. Riflettiamoci.

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  • Spunti dal web

FOMO VS JOMO

I social ci permettono di spiare liberamente e dichiaratamente la vita degli altri e di fare altrettanto con la nostra: quando siamo online, connessi, ci sentiamo sul pezzo e vogliamo che tutti lo sappiano.

Ma cosa accade quando non abbiamo nulla da raccontare e di conseguenza, nulla da postare?

L’ansia da prestazione social e la possibilità di essere esclusi da un divertimento che sembra appartenere solo alle bacheche degli altri è il nuovo malessere sociale. Si chiama Fear Of Missing Out. Come contrastarlo? Con il suo opposto, pur restando sul pezzo: gioire di poter scegliere l’esclusione per l’esclusività, il piacere di selezionare ciò di cui abbiamo veramente bisogno, the Joy Of Missing Out!

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