Ci aveva pensato Silvia Avallone nel gennaio 2024 a raccontarci il punto di vista di un’omicida. Con Cuore Nero si entra nelle lacrime di chi uccide, così intensamente che alla fine del libro ci si schiera a suo favore, quasi dimentichi della vittima.
Anche Elisa parla dal punto di vista dell’omicida; più che punto di vista però, lentamente diventa un dato di fatto: Elisa ha ucciso la sorella. No, non è uno spoiler, non c’è dubbio sin dalla prima inquadratura sia stata proprio lei, anche se il criminologo che riapre il caso nel carcere di Moncaldo in cui è detenuta, ogni tanto spera di no.
Liberamente ispirato al saggio Io volevo ucciderla di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, il film parla di una rimozione.
Vi è mai capitato di fare qualcosa e dimenticare di averla fatta subito dopo? O ancora, di aver vissuto qualcosa di doloroso e rimuoverlo. Quando subiamo un trauma, accade questo: nessuna traccia apparente, mentre il suo corso scava nel nostro profondo.

Scena tratta da "Elisa", di Leonardo Di Costanzo (2025)
Elisa ha un tunnel di silenzio lungo 10 anni, che gestisce con una routine carceraria impeccabile: il luogo in cui è confinata infatti non è sovraffollato, chiassoso, violento. È disperso in un bosco, si compone di villette-monolocali da condividere con un’altra detenuta al massimo. C’è il bar in cui lavora, la sala in cui si accolgono le visite, un grande parco in cui passeggiare e dove non c’è differenza tra chi è dentro e chi è fuori.

Scena tratta da "Elisa", di Leonardo Di Costanzo (2025)
Un luogo che non esiste nella realtà, ma che sicuramente spinge alla riflessione: anche chi è in carcere ha diritto alla pace dei suoi giorni reclusi. Ne ha?
La narrazione non ha pietà: Elisa rivela freddamente le sue azioni, non sorride mai, non mostra segni di cedimento e differentemente dalla protagonista di Cuore Nero, non la perdoniamo. Ma il perdono è una parola grossa, di quelle che ti fanno venire il nodo alla gola e si avvinghiano al senso di rabbia e solitudine.
Su questo infatti entra in scena la Golino, che come per Maria di Larrain, arriva per pochi minuti e ci mette a nostro agio, ponendo una questione scomoda in cui però ci riconosciamo: come si fa a perdonare chi ti ha portato via qualcuno?
Di Costanzo non pretende dare una risposta, neppure il criminologo la ha, nonostante sia possibilista. La domanda però rimane latente nei nostri pensieri alla fine del film e anche i minuti dopo.
Come si fa?
Voto da zero a dieci, otto.
