Abbiamo parlato spesso di aree verdi: intorno a un edificio, dentro l’edificio stesso o tra un piano e l’altro di un’abitazione sociale e collaborativa.
Di quanto le piante facciano bene non solo alla qualità dell’aria, ma anche al nostro umore, non basterebbe un articolo al mese. L’informazione dovrebbe rientrare tra le prescrizioni mediche di base e poi nel nostro timing quotidiano del “fare cose”, tra cui appunto andare a spasso, come si fa con alcuni animali domestici.
Parlare di biodiversità nella progettazione di strutture architettoniche non è mai banale, se si prende in considerazione il fattore “tempo”. Quella di selezionare alcuni tipi di specie arboree per quel territorio, con uno specifico fattore estetico ed edile, richiede una conoscenza geologica di base: come si comporterà nel futuro quella pianta se la posiziono lì? Ma soprattutto, da quale passato arriva?
La scorsa estate il Sindaco di Bologna ha fatto installare oltre 100 alberi temporaneamente, nelle maggiori piazze cittadine, con lo scopo di aumentare le zone d’ombra per combattere il caldo imperante. Da Luglio 2025 e fino alla fine del mese questi arbusti invasati hanno di fatto abbellito il centro storico, essendo ancora troppo piccoli per poter rinfrescare.
Con la promessa di essere ricollocati nei giardini di nidi e scuole per l’infanzia, gli alberi in fasce a ottobre cambieranno collocazione: ma gli farà bene? Una pianta non è fatta per radicarsi?
“Lavorare con la materia vivente implica preparare le piante in precoltivazione e dare quindi loro il tempo di esprimersi, rappresentare il ciclo della vita con esemplari di età diverse e riconoscere che non esistono piante esenti da manutenzione”, afferma Margherita Brianza su abitare.it.
Fondatrice di Parcnouveau, studio di architettura milanese attivo dal 2008, Brianza nei suoi progetti mette il verde al centro, cercando di misurare l’incertezza sulla forma, evento che in natura è quasi una costante.

CityLife, Milano © Parcnouveau - www.parcnouveau.com
Lavorare su una cultura del paesaggio e dell’architettura, le permette di concentrarsi sulla progettazione di spazi verdi per le persone, “dove ogni progetto prende vita proprio a partire dalle loro esigenze e abitudini, abbracciando la cultura e le peculiarità di un luogo” (parcnouveau.com). È il caso di CityLife, il terzo parco più grande di Milano.
Il progetto, avviato nel 2013 e terminato quattro anni fa, ha convissuto con le progettazioni architettoniche circostanti, sotterranee e non: linea metropolitana, parcheggi, grattacieli e centri commerciali. Studi specialistici hanno permesso di comprendere quali specie verdi potessero essere più adatte a sopravvivere in un ambiente già abitato e contemporaneamente fare da collante al tessuto urbano milanese.
Questo è solo un esempio di convivenza green e se andiamo indietro nel tempo, uno dei primi studi ad aver dimostrato un approccio ecologico vivo è stato quello di Roberto Maria Ortolani nel 1999.

CityLife, Milano © Parcnouveau - www.parcnouveau.com
L’architettura del verde non è solo un arricchimento estetico, né uno strumento per mitigare l’impatto climatico: è un atto culturale, sociale e politico.
La natura è diventata parte integrante del linguaggio architettonico e del modo stesso di immaginare le città, quindi viverla.
L’incertezza che la natura ci riserva, fatta di morfologie e cicli vitali lunghissimi, è capace di restituire complessità e resilienza agli spazi urbani. Perché il futuro dell’abitare non si gioca soltanto nella solidità del costruito, ma nella capacità di integrare la fragilità e la forza di chi li vive.