Non rinuncerò a niente, che sia chiaro.
È incredibile come si rimanga invischiati in certi meccanismi culturali che plasmano la nostra quotidianità e che noi chiamiamo tradizione.
Nome romantico che evoca qualcosa da difendere e di cui portare alto il valore, qualcosa di autentico e da cui non si prescinde. Ma spesso alcuni suoi precetti ci portano a fare scelte che mascherano l’evoluzione, decisioni cieche che feriscono e degradano.
Accade così nel film di Scandar Copti, ambientato in Israele a Haifa, tra famiglie arabe e palestinesi.
Due storie raccontate da prospettive diverse, che si intrecciano e che si dipanano attraverso tre capitoli, in cui è sempre più chiaro quanto la cultura militare, del patriarcato e dell’omissione agisca sotto gli occhi di tutti e tutte, in silenzio.
Rami, Fifi, Mimi, Walid sono alcuni tra i primi protagonisti, ma non gli unici: è un film corale, in cui il disagio e dosaggio della comunicazione tra loro porta alla luce bugie e sensi di colpa che articolano la trama, in cui solo Fifi ne esce a testa alta, più giovane fra tutte, mentre cerca di liberarsi dall’oppressione culturale e della madre. Lo capiamo nell’ultima scena, di cui non vi possiamo raccontare nulla.

Scena tratta dal film "Happy holidays", di Scandar Copti (2024)
Il film apre e chiude con lei, non a caso, e prosegue tenendo gli spettatori appesi a una narrazione sempre in bilico, dove i silenzi e le parole sono misurati così come i movimenti di camera, che anticipano rivelazioni comprensibili solo nelle scene successive.
I non detti ruotano intorno alla superficialità di una comunicazione familiare fatta di apparenze e false credenze, in cui si critica fortemente la società contemporanea israeliana, attraverso il palesamento di prese di posizioni inamovibili, capaci di ribaltare eticamente ogni tipo di valore.

Scena tratta dal film "Happy holidays", di Scandar Copti (2024)
(Scandar Copti)L’ispirazione per Happy Holidays è nata da una conversazione che ho sentito per caso da ragazzo. Una mia parente diceva a suo figlio, riferendosi alla moglie: “Non permettere mai a una donna di dirti cosa fare”.
Questo paradosso dimostra quanto siano radicati i valori patriarcali e come persino le donne si sentano in dovere di difenderli. Più avanti, negli anni dell’università, ho osservato simili schemi comportamentali nella società israeliana, dove svariati rituali e tradizioni sono sfruttati a sostegno e supporto sia del patriarcato che della militarizzazione della società. […]
Nessuno è veramente libero finché le donne non sono libere, e nessuno è veramente libero finché non siamo tutti liberi.
Voto da zero a dieci, nove.